“Spesso le persone fanno arte, ma non se ne accorgono”. Lo diceva il grande visionario Vincent van Gogh ed io concordo pienamente.
In un mondo sempre più saturo di grosse personalità vuote, si fa quasi fatica a notare tutte quelle persone che, anche inconsciamente, fanno della vera arte. Badate bene, non mi riferisco solo alla pratica del creare qualcosa; fare della vera arte vuol dire anche trasformare la propria vita in un’opera unica e irripetibile, sempre pronta a suscitare qualcosa negli altri.
Per farvi capire meglio questo mio concetto, oggi vi voglio far conoscere il signor Derek Culley.
Pittore autodidatta, classe 1952, nato e cresciuto a Dublino (attualmente vive in Inghilterra), ha conosciuto l’arte giovanissimo e ad essa ha dedicato tutta la vita.
Spinto da quella forte passione che rende vivi gli uomini, Culley nel corso degli anni ha studiato, sperimentato, creato e sacrificato molto per riuscire a esprimere il suo personale linguaggio artistico che abbraccia l’espressionismo astratto.
Leggendo di Culley e chiacchierando con lui, ho imparato ad apprezzare i suoi lavori, ma ho imparato anche ad apprezzare l’uomo che spesso viene prima dell’artista.
Derek Culley, infatti, durante il suo personale percorso in questo mondo si è più volte scontrato con il destino.
Due infarti, un cancro e la diagnosi di neuropatia motorio-sensitiva hanno stravolto la sua vita, ma non sono riusciti a fermarla. Derek si è aggrappato saldamente al motore che muove il mondo: la passione; quella passione per l’arte che lo ha costretto a rimettersi in piedi per continuare a creare, inventare e comunicare con il mondo.
Forza, determinazione e duro lavoro sono gli insegnamenti che si possono trarre dal vissuto del pittore che è riuscito, forse inconsapevolmente, a trasformare la sua esistenza in una bella opera d’ammirare con rispetto.
E così, uomo e artista diventano una sola persona che ogni giorno traccia linee colorate per raccontare la magia dell’arte, la magia della vita.
LaMôme ha avuto la fortuna di intervistare Derek Culley e questo è quello che ci ha raccontato:
D. Raccontami qualcosa di te e parliamo un po’ di pittura. Come hai iniziato e perché?
R. Nato a Dublino, Irlanda, sono stato influenzato dal mio maestro di arte Seamus O’Colman all’età di 15 anni, mentre all’età di 16 anni avevo già il mio studio. Per me disegnare, dipingere era naturale come camminare o correre!
Lo studio era un garage in un vicolo dietro casa mia messo in affitto dalla mamma del poeta irlandese Thomas Kinsella. Per pagarlo lavoravo in un bar locale dove servivo da bere e pulivo.
Ho iniziato al Dublin’s National College of Art and Design, ma sono rimasto lì solo tre settimane perché non mi piacevano i miei colleghi.
Hanno avuto una grande influenza su di me i lavori di Lee Krasner, Mark Tobey, Robert Motherwell, Jackson Pollock e l’espressionismo astratto americano dell’attore e pioniere del Bahai OZ (Zebby) Whitehead.
Poi sono iniziati una serie di lavori saltuari, mentre imparavo da solo l’arte. Successivamente ho conseguito un master in marketing presso la Brunel University.
Come artista autodidatta, ho partecipato, fin dal 1986, a numerose mostre internazionali e mostre personali. Ho ricevuto $25,000 per meriti artistici dalla Fondazione Pollock-Krasner 2006 2007, premiato dai giudici John Hoyland e Stella Santacaterrina.
Altri premi:
Residenza Art Colony Galicnick : Macedonia 1994
BIRD2005 International Art Award –China ,
The Cill Rialaig Project Ireland -residency 2008
D. Quanto è importante per te la pittura?
R. La pittura è la mia vita! Il mio approccio alla pittura è il mio approccio. Cerco spontaneità nel mio lavoro che poi si riflette nei miei stati d’animo, nelle mie emozioni e in tutto quello che è dentro di me.
L’uso dei materiali, negli anni, sembra aver acquisito uno schema. Per i lavori tristi, seri preferisco usare gli oli, mentre per i lavori immediati uso l’acrilico.
Io credo che la parte essenziale del mio lavoro sia la composizione e l’attenzione per la struttura.
Raramente do un titolo a un’opera prima di finirla, il novanta per cento del mio lavoro è una reazione inconscia che trova un titolo una volta completato. La mia reazione al lavoro finito è il titolo, come la fine del viaggio di quella particolare opera (o forse l’inizio del viaggio!).
D. Cosa ti ispira?
R. Io vedo la mia arte come un viaggio e una risposta agli stimoli consci e inconsci del cosmo, del mio cosmo. Il mio linguaggio visivo consiste nel segnare delle tracce. Il mio disegnare è la presa di coscienza dell’interazione con il mio mondo fisico.
Non ho mai cambiato il mio stile in base alle mode artistiche. Il mio messaggio principale è quello di passione e di forte espressione.
Cyril Barrett S.J. scrisse:“[…] Culley, un pittore appassionato, ossessionato dai colori e dalle forme piuttosto che dai messaggi.
[…] Culley è felice di scambiare l’ambiguità dei suoi “segni”, e perché no? Il loro significato galleggia sulle immagini e le arricchisce con un apparente significato misterioso. Dopotutto, l’arte è, alla fine, come dice Kant, il gioco libero dell’immaginazione e della comprensione ed è stimolante proprio per questo.”
– Cyril Barrett S.J, Campion Hall Oxford 1993, www.derekculley.com
Credo che questo approccio all’arte sia spiegata bene da Jack Armstrong che parlando del mio lavoro dice: “La magia di Culley non sta nel modo in cui i critici d’arte e i collezionisti provano a descrivere il suo lavoro, ma nel vero potere che lo spettatore sperimenta quando è in contatto diretto con il suo colore e la sua forma senza pari […] Culley è in un viaggio che pochi artisti hanno mai vissuto mentre erano vivi. Entra in se stesso senza limiti di tempo o spazio e porta questo linguaggio unico di magia universale a tutti noi nel mondo fisico, attraverso la sua arte.”
– Jack Armstrong, Artist. California 2017, www.derekculley.com
D. Verso la metà degli anni ‘80, hai incontrato l’artista Denis Bowen, il tuo mentore…dimmi di più
R. Ho avuto la grande fortuna di incontrare Denis Bowen che è diventato il mio amico, il mio mentore e quasi un secondo padre. Mi ha introdotto nel mondo dell’arte londinese e nelle sue peculiarità e complessità. Per quanto riguarda il mondo dell’arte contemporanea e moderna, Bowen era un vero e proprio maestro con un grande bagaglio culturale artistico internazionale.
Mi ha insegnato un nuovo modo di vedere, domandare, approcciare e apprezzare l’arte per diventare sia spettatore che creatore.
D. Tu sei stato uno dei fondatori e il presidente della Celtic Vision. Di cosa si tratta?
R. Dopo una mostra di artisti contemporanei delle regioni celtiche durante un Festival che ho curato presso il Windsor Community Art Center, Denis Bowen mi suggerì qualcosa di più grande per includere tutte le 7 regioni celtiche in Europa. Nacque Celtic Vision.
Io, Denis e John Bellany, abbiamo creato un contesto con l’obiettivo di esporre arti visive contemporanee. Essendo contemporanei, abbiamo cercato di fare qualcosa di nuovo.
Nessuna politica, nessuna selezione linguistica predeterminata ma un mix di opere d’arte, di artisti contemporanei delle 7 regioni celtiche: Cornovaglia, Irlanda, Scozia, Galles, Bretagna, Galizia e Isola di Man.
Fondamentale per la realizzazione della realtà celtica è stato il supporto di luminari come il Prof Robert (Bob) Driscoll dell’Università di Toronto – Celtic Studies, il Dr. Ifor Davies, Brendán Mac Lua co-fondatore di The Irish Post e Ivor che ha scritto la “presentazione della Celtic Vision” per il nostro supporto marketing.
Le autorità culturali spagnole di La Coruña (Jose Ramon Lopez Calvo -Ayuntamiento de La Coruña) e Madrid (Luis María Caruncho Amat – Direttore del Centro Culturale del Conde Duque) sono state un catalizzatore significativo attraverso il loro generoso contributo finanziario iniziale al progetto.
D. Nel 2005 hai avuto il tuo primo infarto, sei andato in ospedale e poi cos’è accaduto?
R. Come tante persone ho dato per scontata la mia sopravvivenza. Ho comunque avviato un programma di riduzione del peso. Mi ci sono voluti 10 anni per dimagrire correttamente, dopo aver bevuto a lungo alcol e caffè, e cambiare stile di vita.
D. Dopo aver lasciato l’ospedale hai dipinto una tua versione della Via Crucis. Perché?
R. Nel 2006 ho avuto un secondo infarto. Una vera sveglia! Mi sono ripromesso che se mi fossi ripreso, avrei fatto una versione CULLEY delle stazioni della croce – “Golgotha The Place of the Skull”.
D. Dimmi di più su Golgotha
R. Mi è stata offerta l’opportunità di esporre a New York. Ero preoccupato per le spese di spedizione ecc., ho scelto di fare un dipinto lungo! Poiché il luogo aveva una parete molto lunga! Sono riuscito ad arrotolare la tela e a spedirla in un cilindro.
Ci volle un po’ per realizzare il lavoro, ho impiegato 8 mesi. Si è trattato di una vera e propria sfida logistica perché la tela era lunga oltre 9 metri. A metà del lavoro mi è stato diagnosticato un cancro alla prostata. Ma mi sono detto: niente panico! La realizzazione di Golgotha mi ha tenuto fermo, concentrato.
D. Cos’è la religione per Derek?
R. Non lo so davvero. Sono superstizioso. Cresciuto come un cattolico romano in una famiglia veramente liberale in cui le religioni del mondo sono state discusse e rispettate: giudaismo, islam, cristianesimo, bahai, buddismo e induismo. Mi vedo come un pagano celtico cosmico. La Madre Terra (Vergine Maria) è la mia chiesa.
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D. Tu lavori con dei colori molto forti, i colori hanno un ruolo importante nei tuoi quadri. Perché?
R. Parlando del mio uso del colore, Eamon Colman ha scritto: “Il suo legame con l’arte di strada non può essere negato. L’apparente abbandono dell’immagine verso una forma di graffito come la marcatura può essere descrittivo […]. Essendo coraggioso nell’uso del colore, lo fa nella sua forma grezza. Ciò che rende Derek Culley un pittore degno di nota è il fatto che sfida lo spettatore a guardare il suo mondo, un mondo che non è facile. La tavolozza del colore primario può oscurare non solo la qualità estetica dell’opera, ma guida lo spettatore in un mondo che è da un lato spigoloso e dall’altro ordinato, quasi meta-matematico.”
– Eamon Colman Artist / Aosdána – Alternative Entertainments Exhibition – Tallaght Dublin July 2008, www.derekculley.com
D. Cosa vuoi esprimere con i tuoi quadri?
R. Credo che gli artisti siano canali attraverso i quali le immagini vengono create e condivise. Non consapevolmente da parte mia. Le opere visualizzate sono reazioni, risposte condivise. Le risposte variano a seconda delle mie opere ed è così che dovrebbe essere. Come dico nel mio opuscolo per Golgotha: il modo in cui tu, spettatore, rispondi ai miei pennelli e ai miei titoli, è un particolare processo della tua esperienza. Non esiste una risposta giusta o sbagliata; poiché la tua esperienza è personale.
Credo che il pensiero sia importante per il proprio sviluppo spirituale. I pensieri che condivido con te osservatore, sono un viaggio senza fine vissuto in infiniti modi.
D. Tu utilizzi diverse tecniche per i tuoi lavori: acrilico, oli e digitalizzazione…a proposito di digitalizzazione, Brushes Odyssey è una collezione di 6 dipinti animati creati utilizzando l’iPad. Me ne parli?
R. Quando ho scoperto che la mia malattia da CMT Tipo 1A progrediva e non trovavo più comodo dipingere con oli mentre mi trovavo su un cavalletto, ho dovuto affrontare una crisi di fiducia. Mi chiedevo se la mia perdita di forza di presa e le mie “gambe di gelatina” avrebbero posto fine all’unica professione che amo. La mia risposta è arrivata mentre guardavo un documentario sull’artista David Hockney, che usa l’app Brushes e uno stilo per “dipingere” su un iPad. Il documentario mi ha spinto a cimentarmi con l’arte digitale.
Mi sono dovuto adattare, abituato a lavorare su tela e su carta, e dopo una serie di tentativi falliti, ho scoperto che avevo un nuovo modo di fare arte.
Fare arte su un iPad richiede molta pazienza, ma ha ripristinato la mia sicurezza e mi ha costretto a pensare fuori dagli schemi. Ora faccio stampe a getto d’inchiostro (Giclée) su tela, carta e pannelli acrilici.
D. Progetti futuri?
R. Recentemente ARTSY ha incluso un set di 18 dei miei lavori su carta in vendita.
I lavori provengono da una serie che ho iniziato nel 2016: Brexit Mare (BM) L’incubo della Brexit; sono le mie reazioni al caos politico dopo il voto popolare nel 2016 per lasciare l’UE.
Attualmente sto lavorando a una serie dedicata a “The Lockdown” su carta (A5 / A4); le opere sono nei colori nero, bianco e grigio e riflettono le mie emozioni sul Covid-19 e sull’ingegneria sociale.
Marilisa Pendino
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