Touroperator – Diario di Vite del Mare di Sicilia, narrare la migrazione con l’arte: intervista a Massimo Sansavini

Stiamo vivendo anni complicati, intrisi di emergenze e crisi che ci preannunciano un futuro ben poco roseo.
Gli ultimi eventi che hanno riempito le cronache di tutto il mondo, mi hanno fatto molto riflettere sul ruolo dell’essere umano; animale sociale tanto superbo da sentirsi invincibile quanto stolto fino a non comprendere la sua transitorietà.

Eppure, nonostante le infide scelte autodistruttive dell’uomo, mi scopro sempre affascinata e stupita dai cambi di rotta di alcune persone che con piccoli grandi gesti riescono a non vanificare la presenza dell’umanità sulla faccia della terra.
Un po’ come a dire: non facciamo di tutta l’erba un fascio!
Oggi vi parlerò di una persona che è riuscita a prendere in mano i terribili effetti di un’emergenza che ha segnato (e continua a segnare) il nostro Paese e li ha trasformati in ambasciate utili per ricordare all’uomo che la vita va rispettata, sempre.

Touroperator, l’artista Massimo Sansavini

Il suo nome è Massimo Sansavini, nato a Forlì nel 1961. Dopo aver studiato all’Accademia di Belle Arti di Ravenna, si specializza in restauro ligneo e nell’uso delle applicazioni di prodotti industriali nell’arte contemporanea.
Ha collaborato con gallerie, network d’arte e case di moda, realizzato scenografie per programmi televisivi, opere pubbliche monumentali e tanto altro. Attualmente vive e lavora nella sua amata Romagna.

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La mostra

Ma Sansavini non è solo un artista di Forlì, è anche l’ideatore di una mostra molto particolare: Touroperator – Diario di Vite del Mare di Sicilia.
Giunta ormai alla sua tredicesima esposizione, la mostra (al Museo Archeologico di Forlimpopoli [FC] ‘Tobia Aldini’ fino al 3 maggio*) riporta a galla i resti delle vite spezzate dalla terribile piaga della migrazione.
In un mondo destinato a seguire la via della distruzione, Sansavini effettua quel famoso cambio di rotta, schierandosi dall’altra parte, dalla parte degli esseri umani che la fugacità della vita la vedono, la comprendono e la vogliono raccontare.
Per questo motivo, ripercorre le orme ancora fresche dei migranti che sbarcano a Lampedusa, ne raccoglie i resti e, da uomo e da artista, li lavora per riportare indietro la vita, per fissare il ricordo della sua transitorietà.
Ma lasciamo che sia lui a raccontarsi e a raccontarci questo progetto:

L’intervista

D- Lei è un artista e scultore di Forlì. Ma chi è davvero Massimo Sansavini?

R- Penso di essere una persona fortunata che è riuscita a ritagliarsi un proprio spazio dove poter fare ciò che più gli piace, creando progetti d’arte.
Tutto si realizza nella mia casa laboratorio, una sorta di “Bottega del Mago” dove si materializzano i miei pensieri.
Ma sono anche il marito di Anna che ormai da più di 30 anni mi aiuta, collaborando con me in questa fantastica attività e poi sono il babbo di Laura e Giulia.

D- Lei fa parte di un progetto molto particolare: Touroperator. Di cosa si tratta?

R-
Touroperator è una mostra d’arte realizzata con gli scafi dei migranti che ho prelevato a Lampedusa.
Alla fine del 2014 sono venuto a conoscenza del fatto che esisteva un cimitero delle barche. In quel luogo vengono custoditi gli scafi dei migranti approdati a Lampedusa e confiscati dallo Stato italiano.
In realtà il cimitero è l’ex base militare americana LORAN, ora adibita a luogo di custodia degli scafi. Questo spazio è interdetto a chiunque in quanto sottoposto al controllo dell’autorità giudiziaria.
Gli scafi, alla fine del procedimento giudiziario, in quanto beni confiscati, vengono distrutti dallo Stato italiano e nulla rimane di ciò che è la memoria più importante di questi ultimi anni, gli scafi appunto.

Nel 2015 ho iniziato un percorso, per ottenere le autorizzazioni necessarie a prelevarli per poi recarmi a Lampedusa dove, con alcuni assistenti, ho recuperato parti di barche e i reperti in esse contenuti, inoltre sono state realizzate foto e video che hanno documentato questo progetto.
A partire da quella data del 30 settembre 2015 è servito un anno per potere realizzare le opere, e il progetto espositivo è stato inaugurato nella sua prima esposizione ai Musei San Domenico di Forlì nel settembre 2016.

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D- Come mai questo nome?

R- Touroperator è una provocazione in riferimento ai viaggi della speranza e a tutti coloro che di quelle persone disperate ne fanno mercato e se ne approfittano, una sorta di “Caronte” del terzo millennio, traghettatori senza scrupoli che speculano sulla vita delle persone.
Il logo Touroperator trae ispirazione dalla scritta “Abreit Macht Frei” che campeggiava sui cancelli dei lager nazisti perché oggi come allora queste persone vengono detenute in campi militarizzati e privati della loro libertà e dignità in molti casi anche creando nuovi muri per evitare l’invasione dello straniero.

D- Come è nata l’idea?

R- A seguito del naufragio del 3 ottobre 2013 avvenuto a ridosso della costa di Lampedusa, mi sono interessato al fenomeno delle migrazioni, chiedendomi cosa poteva fare l’arte contemporanea per questa situazione che causava naufragi e vittime.
Da quel momento ho iniziato a raccogliere articoli ed elaborare progetti su come potere raccontare queste storie.

D- Il suo lavoro, quindi, consiste nel recupero di scafi provenienti dal cimitero delle barche di Lampedusa e nella trasformazione del materiale in opere da esporre. Come si prepara ad affrontare le diverse fasi di questo lavoro?

R- Le parti di scafo selezionate a Lampedusa vengono portate nel mio studio a Forlì dove sono catalogate e divise per gruppi omogenei, l’idea di fondo è quella di raccontare queste tragedie con apparente leggerezza che durante la visita della mostra porta a conoscere storie, numeri, drammi di quello che è un vero e proprio genocidio.
In gran parte sono tavole laccate che rappresentano i fondali marini, su queste tavole sono applicati vari frammenti degli scafi che sono stati unicamente sagomati, lasciando il colore naturale.
Il titolo dell’opera è la data di un naufragio e il numero di elementi applicati sulla tavola è il numero delle persone naufragate in quella data.

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L’artista Massimo Sansavini

D- Burocraticamente parlando, come è riuscito a dare forma al progetto?

R- Non è stato facile, ed è servito molto tempo, mail, telefonate alle amministrazioni locali, contatti con i referenti del Comune di Lampedusa, della Capitaneria di Porto, dell’Agenzia delle Dogane. Devo dire che sono stati fin da subito tutti molto disponibili e collaborativi e mi hanno saputo guidare nella giusta direzione che era quella dell’organo deputato alla custodia degli scafi, cioè il Tribunale di Agrigento, il quale nel settembre del 2015 mi ha concesso per la prima volta in assoluto questa opportunità mai data a nessuno.

D- Quanto è difficile sul piano pratico ed emotivo per un artista effettuare questo lavoro?

R- Sul piano pratico è stato un lavoro molto complesso e articolato, trovare un fil rouge che potesse trasformare una moltitudine di opere in un racconto organico e comprensibile non era facile. Visti i risultati ottenuti con le varie esposizioni fatte nel corso degli anni credo di avere colto nel segno.
Sul piano emotivo devo dire che è stato molto più difficile, ho cercato di portare grande rispetto per quei legni che hanno causato tanta sofferenza e dolore.
Debbo dire che lavorare con quei materiali senza provare commozione è difficile.

D- Come trova l’ispirazione per donare nuova vita al materiale recuperato?

R- Il primo approccio è stato quello di considerare quel materiale vivo, un materiale che racconta tante storie, che ha viaggiato nel Mediterraneo con carichi di speranza e di dolore. Leggere le storie di quelle traversate e gli articoli che documentavano quello che stava succedendo è servito per trovare l’ispirazione.

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D- Una volta trasformati, questi oggetti non sono soltanto delle belle opere da ammirare. Che cosa diventano davvero? Cosa spera possano comunicare?

R- Le sculture così come sono state realizzate fanno in modo di coinvolgere l’attenzione dello spettatore, per farlo entrare dentro a questo viaggio e dargli degli strumenti di conoscenza.
In realtà, però, queste opere sono già diventate una memoria collettiva e quello che resterà ai posteri di questo periodo storico sarà raccontato attraverso ciò che rimane e quello che è rimasto sono proprio i legni di queste barche che sono riuscito ad ottenere, mentre tutti gli scafi arrivati nelle nostre coste, per legge sono stati e saranno distrutti al termine del processo giudiziario che li riguarda, senza che ne rimanga più traccia.

D- Molte delle sue opere sono colorate e ‘allegre’. Perché questa scelta stilistica per testimoniare storie tragiche?

R- Credo che rappresentare una tragedia in modo tragico sarebbe stato banale, c’erano molte possibilità di raccontare la mostra, io ho deciso di usare un paradosso per dare voce a queste storie in maniera più lieve e le forme che assumono questi legni inermi danno l’idea di un’allegra leggerezza che durante la visita catturano l’attenzione dello spettatore e lo portano a conoscere storie, numeri e drammi di quel maledetto genocidio.

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D- Ho letto che la mostra prevede la lettura di ‘QR CODE’…

R- In tredici esposizioni di Touroperator abbiamo avuto migliaia di visitatori e una gran parte di questi erano studenti, e scolaresche, in molti prima di vedere la mostra hanno lavorato sui tema dell’integrazione e dell’accoglienza. I QR Code danno la possibilità ad ognuno di avere una guida virtuale e documentarsi in maniera autonoma e indipendente.

D- Altri lavori presenti?

R- La mostra Touroperator è accompagnata da un video che racconta del viaggio verso Lampedusa di diverse fotografie del “Cimitero delle Barche” e di molti reperti recuperati all’interno degli scafi.

D- Come reagiscono le persone alle sue opere?

R- Come è capitato a me, è facile imbattersi in persone che si commuovono toccando con mano quelle opere.

D- Lei ha toccato con mano gli effetti di questa piaga. Proprio per questo le chiedo che cos’è davvero il fenomeno della migrazione?

R- Il fenomeno della migrazione è un fenomeno molto complesso che però i muri non riescono a fermare, occorre fare riflessioni profonde sul futuro mutamento delle nostre società.

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D- L’Italia è stata al centro di numerose critiche e polemiche. Di chi è la colpa? Cosa si poteva (si può) fare per evitare per sempre queste tragedie?

R- Di Errori ne sono stati fatti da tutte le parti. Ad oggi l’Europa ha pagato alla Turchia di Erdogan 15 miliardi di euro per trattenere i rifugiati siriani in campi militarizzati e, recentemente, ci sta ricattando aprendo i confini con la Grecia per chiedere altro danaro, la stessa cosa l’ha fatta l’Italia con la Libia.
Credo che l’Unione europea debba recepire la riforma del Trattato di Dublino, sarebbe un passo in avanti e poi riuscire a creare corridoi umanitari per evitare le tragedie in mare.

D- Riporto una sua frase molto bella: “Ancora una volta [in riferimento alla mostra] l’arte diventa ‘porta’, ‘ponte’, ‘porto’ e non ‘muro’”. L’arte può davvero smuovere le coscienze?

R- L’arte è un campo neutrale che serve per creare conoscenza, informazione e cultura attraverso la bellezza e a questo proposito vorrei citare Dostoevskij con la sua frase “La bellezza salverà il mondo”.

Marilisa Pendino 

Touroperator – Diario di Vite del Mare di Sicilia, mostra di arte contemporanea patrocinata da Amnesty International e organizzata grazie all’Associazione Libera

*Vista l’attuale situazione, il Museo Archeologico di Forlimpopoli (FC) ‘Tobia Aldini’ rimarrà chiuso. 

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