Cosa vuol dire essere un artista? Una domanda sicuramente non facile.
L’arte è presente in ogni dove, ma solo gli artisti riescono a riconoscerla e a darle una qualche forma…o almeno così dicono!
Il compito dell’artista sembrerebbe, dunque, quello del generoso messaggero capace di riferire delle traduzioni a chi, pur avendola davanti agli occhi, l’arte non riesce a decodificarla.
Spesso, però, questo compito non è facile. In passato, infatti, molti artisti sono stati incompresi e le loro missioni rivalutate dopo la morte. E oggi? Oggi basta una semplice intuizione, saper cavalcare l’onda della moda del momento per osannare il presunto artista (e forse è davvero un artista, ma lo scopriremo solo dopo la sua morte!) sprovvisto di messaggi a noi utili.
Capire, quindi, la vera essenza di queste persone e quello che vogliono trasmettere non è semplice. Proprio per questo motivo, oggi vi presentiamo una vita molto particolare che con l’arte si è incontrata e scontrata molte volte. Lui si chiama Lorenzo Rovinelli, anconetano classe 1971, personalità poliedrica dedita alla scrittura e non solo.
Rovinelli ha deciso di raccontarsi e di raccontare la sua arte senza peli sulla lingua. E noi lasciamo ai lettori il compito di trarre le debite conclusioni.
D- Poeta, pittore e scrittore. Chi è davvero Lorenzo Rovinelli?
R- Non ho alcuna difficoltà né problema a farmi chiamar scrittore o a dichiararmi tale, non fosse altro per il fatto che ormai son anni che scrivo e vengo più o meno apprezzato per ciò che produco. Ho invece, proprio per il troppo rispetto che nutro per l’arte e l’essere Artista in generale, ancora qualche problema a sentirmi chiamar e definir pittore (vista poi ad oggi, la mia produzione ancora così esigua. La maggior parte dei miei dipinti, o son finiti ad alimentar le fiamme del BBQ della mia vecchia casa, o li ho gettati nei cassonetti tra i rifiuti).
Lorenzo Rovinelli nasce in Ancona il 10 Luglio 1971, da una famiglia della medio alta borghesia. È prima di tutto un uomo oramai vicino alla cinquantina che sognava sin da ragazzino di fare lo scrittore e, a dispetto del sentirsi ripeter da ogni suo insegnante avuto che non sapeva né scriver né disegnare, oggi fa proprio questo. Scrive e dipinge; e lo fa ormai da 24/25 anni (almeno scrivere), senza aver mai conosciuto sosta.
Lo fa; perché così il destino, o forse più semplicemente la vita, han voluto. Lo fa senza troppe pretese, senza presunzione alcuna. Semplicemente, perché ormai, nonostante abbia ripetutamente tentato, non riesce a smetter. Forse, perché le cose che ha da dire e da esprimer son ancora troppe, forse perché non ha ancora ultimato conoscer se stesso sin nel profondo.
Principalmente, però, è un essere umano. È (citando una mia stessa poesia), innanzitutto un uomo, forse, per certi versi, mai del tutto davvero cresciuto, forse per altri invecchiato invece troppo in fretta, “Ha combattuto una rissa poetica con il MONDO.”, e vadan come vadan le cose in futuro, possiam dire, almeno per ciò che lo riguarda, HA GIA’ VINTO!
È l’ennesimo animo inquieto (con un’infanzia complicata, sebben abbastanza serena).
È l’uomo e l’artista; nonostante 4 falliti tentati suicidi alle spalle, all’approssimarsi della soglia dei 50, è ancora qua a raccontarcela e raccontarsi, almeno finché questa vita glielo concederà.
D- Post Office di Bukowski, Delitto e Castigo di Dostoevskij e On the Road di Kerouac ti hanno cambiato la vita avvicinandoti ufficialmente alla scrittura. Perché?
R- Avevo non so perché, appena finito di legger tutto d’un fiato in una notte insonne Delitto e Castigo che pareva in qualche modo avermi chiamato dallo scaffale della libreria fino ad allora mai consultata e stava lì solo per bellezza. La notte insonne successiva poi, fu la volta di On the Road (che lessi per ben 3 volte consecutive una dietro l’altra nella medesima sera). Quindi l’indomani alla terza notte insonne consecutiva fu la volta, su suggerimento dell’amico Alessandro Ortolani, di Post Office che divorai in un sol boccone tutto in una notte. A quel punto; finalmente mi assopii, e per pochi brevi istanti, lì per lì mi parvero esser durati un’eternità, dormii. Fino a quando, poco dopo, mi sorpresi aprir gli occhi e cercar disperatamente in giro per la camera carta e penna per scrivere. Da allora, non ho più smesso.
Come mi hanno cambiato la vita questi tre libri e cosa mi hanno dato in sintesi?
Dostoevskij ha risposto a un’esigenza che avevo, facendo da spartiacque e apripista a quelli che son venuti dopo di lui. Kerouac mi ha fatto prender atto del fatto che non ero solo a questo mondo e che di folli eccitanti e geniali esseri umani come me, o come io m’ero sempre sentito, ce n’eran e ce n’eran già stati un’infinità, e senza per questo esser i soliti pallosi triti e ritriti Dante, Leopardi e compagnia bella che la scuola s’ostinava riproporre e riproporre ancora e ancora, senza mai voler scender a patti con la vera più bella (a parer mio) letteratura. Quella non conoscerà mai tempo e sarà per sempre attuale. Attuale nel linguaggio espressivo, attuale nel ritmo, attuale nei fatti.
Bukowski poi? Bé che dire di Bukowski … E’ il GENIO ASSOLUTO! Nessun altro che io abbia mai letto o conosca, scrive come lui. Apparentemente ad un occhio disattento e non preparato, forse in modo anche semplicistico … Quasi infantile. Ma cosa c’è di più bello e puro dell’infanzia? Cosa, di più arduo da riscoprir la VERA DIRETTA ESSENZA della semplicità così difficile da raggiunger una volta che ormai s’è cresciuti e la si è perduta? Non ne conosco altri che scrivan così come lui. Nessun altro, a parte me oggi, e forse un altro paio in città. Ehehehe!
D- Nel 1997 debutti come poeta presso i locali del Cafè Teatro Fahrenheit ad Ancona. Raccontami l’esperienza.
R- Com’è stata l’esperienza? Dirompente direi … Come altro definirla?
Devi considerar; ho iniziato a scriver solo a cavallo tra la fine del 1995 e l’inizio del 1996. Precedentemente di poesia e di letteratura in generale, ne sapevo quanto la scuola mi aveva concesso di saperne. Poi; Kerouac prima e Bukowski in seguito, mi hanno aperto un mondo. Più leggevo della loro produzione, dei poeti “maledetti” e più la mia consapevolezza cresceva. Scoprivo così ben presto, il mio ruolo; Colsi quindi la penna, e cominciai a scriver.
Sai, Ancona è una piccola città dove tutti conoscon tutti; e ancor di più dove tutti gli artisti poeti, pittori, scrittori, musicisti, scultori etc. ci conosciam tutti. Accadde proprio alla vigilia della mia imminente partenza per la Germania che fossi chiamato ad aderir a quest’evento che considerato lo standard delle proposte culturali della città all’epoca, era da ritenersi un vero e proprio evento, nell’accezione più classica del termine, a tutti gli effetti.
Il locale altro non era che un circolo ARCI, un ritrovo serale per giovani anconetani “cazzoni” e ubriaconi. La serata, mi spiegarono, sarebbe consistita in un pugno di poeti che si sarebbero dati il cambio sul palco del locale declamando i propri versi. Dar sfoggio di me, non mi è mai piaciuto, così come non ho mai amato certi ambienti pseudo letterari. A ogni modo, la serata suscitò il pienone. Uno ad uno, i poeti e le poetesse, si dettero il cambio sul proscenio riscuotendo timidi applausi di circostanza e cortesia, poi venne il mio turno.
Era la prima volta che salivo su un palco per dar voce a me stesso avanti un pubblico. Di natura nasco timido, moltooo timido.
Fortunatamente mi ricordai d’una mia cara amica che aveva studiato recitazione alla scuola di Gassman. Mi rivolsi così a lei, affidandole il compito di legger i miei versi. Rassicurandola tuttavia, l’avrei comunque affiancata sul palco, pur mettendo in chiaro da subito, non avrei però proferito parola.
Il locale era colmo, come già detto. File e file di sedie si stendevan da sotto il palco sin alla porta d’ingresso, facce e facce in attesa, volti che conoscevo e altri che non avevo la benché minima idea chi fossero; ed io, che sino a pochi secondi prima ordinavo da bere al bancone tracannando birra, stavo ora prendendo il mio posto, lì dove prima di me altri “così detti poeti” che avevan la pretesa così di definirsi nella propria mediocrità, eran appena passati.
Qualcuno aveva allestito una sedia accanto il microfono. Il palco era pronto per noi, e noi ci appropinquammo. Salii su, Moretti in mano e cicca fumante. Olga si piazzò avanti il microfono, ed io presi posto sulla sedia allestita per me. Diedi una lunga sorsata alla Moretti, feci un bel tiro della mia Chesterfield, un lieve cenno alla mia amica, e la lettura partì.
Olga leggeva e declamava forse dando un po’ troppo rilievo a certe sfumature, mentre io lì accanto, seguitavo in silenzio a trangugiar birra e fumar senza curarmi del pubblico. Leggeva lasciando di volta in volta cader delicatamente i fogli in terra ora sul palco ora fuori di esso, lì dove il loro ondeggiar nell’aria li portava.
Io ascoltavo; limitandomi solo, a far presenza. Poi, l’errore (per me insopportabile), ma che il pubblico stolto e impreparato nella sua falsa cultura non recepì.
Pronunciò male il nome del mio allora scrittore preferito (Kerouac) leggendolo Kuruac. Allora come un fulmine a ciel sereno capii … Mai più; avrei affidato il compito di legger i miei versi ad altri.
A prescinder da questo però; la lettura fu un successone. L’intero locale esplose in un unisono chiassoso batter di mani che riempì tutte le mura quell’angusta catapecchia stracolma. Avevamo concesso anche il bis. Ora però era tardi. Di lì a poche ore, sarei dovuto partir per affrontar un viaggio di quasi 48 ore ininterrotte.
D- Quando hai scritto la tua prima poesia?
R- La mia prima poesia, in realtà non era propriamente una poesia. Fu più, la trascrizione d’un sogno o forse un incubo palpabile (chiamala come vuoi) che feci e sentii l’esigenza appena concluso e risvegliatomi, di trascriver, e che solo per caso, nella sua trasposizione su carta assunse, quasi inconsapevolmente, la forma di versi. Comunque, questo avveniva nel Novembre/Dicembre 1995.
D- Hai fondato nel 1998 il Movimento Artistico Culturale End Generation Travellers, insieme all’amico Andrea Carletti. Parlami un po’ del Movimento.
R- Più leggevo e più scoprivo, più scoprivo e più scrivevo, più scrivevo e più sentivo che il mio reale compito era qualcosa di più del mero semplice scriver. Più sentivo quest’impulso e più la mia esigenza di dar esso voce cresceva, più cresceva questa voce e più tutto ciò andava prendendo forma costruendosi e incastonandosi come tessere sperdute d’un puzzle nella mia mente.
Tornato dalla Germania e dopo aver già vissuto un primo cambiamento stilistico pur sapevo non esser ancor quello conclusivo, tutto cominciò a cambiar. E come un fulmine a ciel sereno, lentamente, iniziai vederci sempre più chiaro.
Cominciai, dapprima sotto il nome di “Gruppo Poesia 2000”, ad organizzar serate di letture con lo scopo di riunir quanti più poeti cittadini e non, e di far una cernita e una selezione di genere. Apparsami magicamente in sogno la via da seguir, ora lo scopo era riunir un certo genere d’artisti, così da farne un gruppo in grado di portar avanti un obiettivo.
Poi; dopo una prima rapida scrematura, ecco che nel ‘98 siam arrivati oramai col nome ufficiale di End Generation Travellers, a tener il nostro primo evento.
Tuttavia; se da subito poeticamente parlando ci è apparso chiaro, i due più rappresentativi eravam proprio noi (Andrea Carletti ed io), pittoricamente, la nostra ricerca non era ancor che all’inizio. Anche per ciò, abbiam sempre lasciato le nostre porte aperte, rendendoci disponibili all’interazione anche con altri artisti.
Alla fine abbiamo trovato i nostri rappresentanti più azzeccati. E li abbiam trovati, ancora una volta proprio in noi stessi, nel momento in cui prima è subentrato Cingolani, poi quand’anch’io ho iniziato a dipinger.
Dovendo però riassumer in eventi il nostro Movimento, lo sintetizzerei però in tre di essi in particolare.
Il primo; quello del nostro esordio alla Mole Vanvitelliana di Ancona nel ’98, il secondo quello tenuto al Parco villa Beer all’interno del Festival Beer stesso tenuto in ricordo di una giovane ragazzina anconetana scomparsa prematuramente.
Poi senza ombra di dubbio; non potrei non citarlo, l’appuntamento del 2004 tenuto in collaborazione con la City Lights Italia di Antonio Bertoli conosciuto in un certo senso, solo grazie alla madre dei miei figli.
Eravam infatti lei ed io inizialmente partiti, per quello che doveva esser un viaggio per andar al Pistoia Blues, poi lungo il tragitto, ormai stanca in certo qual modo di sentirmi continuamente parlar dei Beat e della City Light italiana o di San Francisco che fosse, ha deciso di puntar i piedi e insister perché rinunciassimo al Pistoia Blues per andar finalmente in cerca di questa benedetta City Lights Italia.
Non avevamo alcun indirizzo, solo per caso siam entrati in una libreria imbattendoci fortuitamente nell’ex compagnia del suddetto Bertoli la quale, dopo averci messo al corrente del fatto che la City Lights aveva ormai chiuso i battenti, ci ha dato il contatto di Antonio.
Poche ore dopo, già avveniva il nostro primo incontro. E da lì poi nacque l’evento del 2004 in cui egli partecipò affiancato da Marco Parente che intervenne nella duplice veste di musicista.
D- E per quanto riguarda, invece, l’Associazione Artistico Culturale “An To Pan”?
R- Proprio sul nascer del Movimento, quando ormai mancava poco al nostro primo evento cui avremmo dato vita, Simone Pellegrini, pittore appassionato di alchimia, svanì. Ci abbandonò a malincuore sul nascere, cause di forza maggiore.
Da lì in poi, rimanemmo per anni Andrea ed io, soli. Purtroppo non si è mai sbattuto più di tanto, nel darmi una mano a livello organizzativo, quando c’era da metter in piedi qualcosa. E tu saprai certamente, che impegno richiedon certe cose … Senza contar, proprio per un’esigenza artistica, ancor più che organizzativa, sentivo aumentar sempre di più con il passar degli anni, il bisogno di rimpiazzar in qualche modo la figura del perduto Simone.
Accadde così, che incappassi in Corrado Cingolani, altro pittore e scrittore di poesie. I suoi dipinti eran più vicini a quella vera essenza della ricerca primaria del Movimento END, che poi solo anni più tardi avrei scoperto anch’io di avere.
Pian piano la conoscenza con Corrado continuò, fino a portarlo a voler entrar far parte del nostro Movimento. Conobbe così anche lui Andrea e uno ad uno, tutti gli altri, si fecero e si son fatti più o meno partecipi e aderenti al Movimento, che ricordiamo al tempo non aveva ancora un vero e proprio Manifesto.
Poi; senza una necessità reale, né un vero motivo, un giorno Corrado se né uscì con la proposta di metter su un’Associazione Artistico Culturale, il cui scopo doveva esser quello di aiutarci e facilitarci nella gestione organizzativa degli eventi, cui avremmo di volta in volta seguitato dar vita.
Questo, però, richiedeva troppo impegno a tutti noi, e ci obbligava a dover per forza far un certo numero di eventi annui. La cosa quindi, dopo appena due anni, finì.
Quanto al significato del nome; An To Pan (in gergo alchemico) significa “tutto in uno”, come le manifestazioni che noi organizzavamo e che coinvolgevano ogni forma d’arte.
D- Se ti dico “Vecchio ciondolante satiro MANIBUCATE; sempre sbronzo”? E’ stato davvero scritto in 3 ore?
R- È un libro, tecnicamente parlando, difficilmente catalogabile, in quanto, non appartiene propriamente ad un solo ed unico genere. È nato principalmente da un’esigenza, ormai a quel tempo, divenuta per me, impellente.
È vero, infatti, che se è per metà trattato di scrittura creativa è anche, per la sua restante metà, un romanzo autobiografico (mio in primis, e di riflesso, del Movimento END cui ho dato vita). MANIBUCATE è sostanzialmente il libro/manifesto del Movimento, una sorta di BIBBIA della generazione END.
Non è che il frutto inevitabile e ormai maturato, di un accumulo di pensieri e di idee, di un periodo storico particolare, e se vogliam ormai maturo perché esso si sviluppasse. E sì, l’ho realmente scritto in 3 ore, ma è stato facile perché non ho dovuto far altro che riordinare le idee.
È stato scritto volutamente senza, né punti né virgole, o così almeno, era nella sua stesura originale. Semplicemente con delle barre (/) dove serviva. Lo avevo scritto così da principio, appositamente per lasciargli più respiro e dargli più ritmo e così avrebbe dovuto rimaner.
D- Ad un certo punto, Rovinelli vive un periodo difficile. Colpito dal blocco dello scrittore e segnato da una relazione complicata, decide di lasciare tutto e di andare in Germania. E lì cosa accade?
R- Da un lato; ero giunto al culmine dell’assuefazione, quasi un rigetto, per quanto riguarda la relazione che stavo vivendo con la mia ragazza di allora (Francesca Vicini), che sentivo ormai andar avanti da troppo, e quasi forzatamente, più per abitudine, che ancor per le giuste ragioni avrebbe dovuto.
Dall’altro; per ciò che riguarda il mio scriver, stavo invece, detto in poche parole, semplicemente diventando troppo ripetitivo. Credevo che l’unica soluzione possibile fosse una svolta definitiva. Un taglio netto, in certo qual modo. Ed in parte, era così …
Quindi più che un vero e proprio blocco dello scrittore che almeno sino ad oggi, che io ricordi, non mi par fortunatamente (facendo i debiti scongiuri) aver mai avuto, diciamo fu più che altro, per detto motivo e il conseguente timor divenir presto, per detta ragione noioso; interpretai, quel momento che attraversavo, come un’esigenza impellente a cambiar aria tagliando i ponti in maniera quasi radicale, con la mia vita, o almeno ciò che essa era stata, fin lì.
Così decisi di partire per la Germania, dove ho comunque trovato, almeno per un periodo, ciò che andavo cercando. Il mio scopo, almeno nei progetti, era quello di chiuder il capitolo della mia vita sin lì, e partir alla ricerca in un certo senso, di un nuovo inizio, di nuovi stimoli per la mia poesia. Stimoli, speravo m’avrebbero condotto, almeno in quel senso, a una sorta di rinascita. Rinascita poetica. Cosa che poi, almeno in questo senso, accadde.
D- Nel 2000 esce la tua prima raccolta poetica dal titolo “Spiriti & Scalpi”. Di cosa si tratta?
R- È la selezione poetica, di quanto di meglio avevo tra la mia produzione, al momento in cui ricevetti la mia prima proposta editoriale, avvenuta a seguito della mia partecipazione alla 10ma edizione del Concorso Letterario Internazionale “Giovanni Gronchi da Pontedera”.
“Spiriti & Scalpi”; è il mio primo vero libro pubblicato che mi portò a stipular il mio secondo contratto editoriale, sempre col medesimo editore, per una mia nuova raccolta poetica (stavolta dal titolo: “La chitarra ed il corpo”), poi ad oggi, ancora mai uscita.
L’editore (poi rivelatosi truffaldino e ad oggi, ormai da anni fallito), non solo, mancando rispettar la propria parte di contratto, non ha più pubblicato, ma che per di più, ha anche smarrito e non mi ha mai restituito .
D- Nel 2001 nasce il tuo primogenito Nico, Leonardo, Geronimo, mentre nel 2005 nasce il tuo secondogenito Leonardo, Tex, Dean. Il tuo essere padre ha influenzato il tuo essere artista?
R- Vedi, come dicevo prima, per natura e anche per carattere, sono e son sempre stato, ancor prima di iniziar a scriver e dipinger, prima di tutto artista nell’animo (per così dire); quindi, ne consegue non essendo mai cambiato ed essendo essenzialmente rimasto sempre fedele a me stesso, a prescinder quel che nella vita mi accadeva, quel che essa decideva di donarmi o portarmi via, a seconda dei casi e dei periodi … ne consegue dicevo, che più che aver influenzato il mio esser artista il fatto di esser diventato padre, direi piuttosto, e senza ombra di dubbio, è stato il contrario. E’ il mio esser artista, che ha sicuramente influenzato il mio ruolo di padre.
Ti basti pensar, almeno col mio primogenito che ho potuto vivermi e godermi di più rispetto il fratello minore, lo addormentavo leggendogli ora estratti d’On the Road, ora le mie poesie o quelle di Jim Morrison, lo cullavo facendogli ascoltar il Blues di John Lee Hooker o il Funk di James Brown, quando la notte non dormiva lo portavo a spasso col mio vecchio furgoncino Volkswaghen “da terrorista libico” in giro, gli ho messo in mano per la prima volta la chitarra quando ancora portava il pannolone e non parlava, senza contar il fatto che diversamente da tutti i bambini del mondo che son cresciuti col cavalluccio a dondolo, loro avevan e in camera tengono ancora, un’Harley a dondolo in legno, per come son fatto non potevo non comprar, ancor prima di scoprire se lui (il primogenito) fosse maschio o femmina.
Questo, tanto per darti un’idea di che razza di elemento sono e che “matto” stai intervistando. Eheheh!
Quindi NO! Il mio esser padre, non ha influenzato la mia arte. Se non forse, per qualche sporadica poesia qua e là, a loro o alla loro madre, a seconda dei casi, dedicata.
D- Chi è Tiziana?
R- Chi è Tiziana? Francamente, e mi vergogno a dirlo ma è così, ne so ben poco, di chi sia.
Tiziana; è l’innocente frutto, almeno stando alla madre, di una relazione che a posteriori mi sento di affermar, non avrebbe mai dovuto accadermi, e nella quale avrei fatto meglio non cacciarmi.
È una storia molto complicata da spiegare…
D- Che ruolo ha (ha avuto) l’amore per Rovinelli?
R- L’AMORE …
Né i miei racconti o romanzi che sian, né le mie poesie o i miei quadri, a seconda dei casi, sarebbero mai potuti o potrebbero mai nascer, quanto meno, senza le donne e perché no anche l’alcol, come minimo. Son questi infatti, entrambi, una continua fonte d’ispirazione, oltre che in taluni casi, dei rifugi (come per tutti).
All’AMORE in quanto ricerca della felicità, ho rinunciato da un pezzo. Da quando ho capito e preso atto, di non esser capace di lasciarmi amare. Non davvero, e non nella maggior parte dei casi. Da quando ho imparato a conoscer me stesso, e capito che quelli come me, non son fatti per amare ed esser amati. Se non, per brevissimi illusori, attimi della loro caotica dissoluta vita votata a qualcosa di ben più superiore.
Come padre; comunque, ho cercato sempre di dar il massimo. Spero, a prescinder da tutto, esser stato abbastanza capace, ed esser stato un buon padre. Di questo poi; ai miei figli, l’ardua sentenza, quando saran adulti.
Per quanto riguarda le donne più in generale … di quelle ce ne son state tante nella mia vita, e quando dico tante, intendo tante davvero. Da perder il conto …Ma non lo dico né come forma di vanto né altro, sia chiaro. Semplicemente questa è un’intervista, e io sto rispondendo alle tue domande quanto più sinceramente posso. Tutto qui!
D- Il tuo primo dipinto in assoluto è “Donna con Cappello”, raccontami un po’.
R- Donna con Cappello; in un certo senso, per me è stato un po’ come il viaggio in Germania. Semplicemente; non mi bastava/non mi bastavo più! Avevo bisogno di altro, di evolvere ancora, di confrontarmi con una mia nuova realtà, di mettermi nuovamente alla prova. È stato; un giro di boa, per usar un termine a noi gente che veniam dal mare, ben noto.
E visto il momento che stavo vivendo, da dove partir se non dalla madre dei miei figli, con la quale allora ancora vivevo?
Questo però; ad esser del tutto sincero, l’ho compreso man mano che dipingevo, e son anche quasi sicuro, non averle neanche mai rivelato, se non molti anni dopo, che quella in realtà fosse lei.
Quanto alla scelta di dipinger nudi femminili; quello come immaginerai, è venuto da sé, un po’ per vari motivi … Innanzitutto, dovendo sceglier (o meglio potendo), meglio femminili che maschili. Noi uomini, anche quando molto belli, con quell’affare ridicolo a penzoloni, siam veramente antiestetici. Voi siete infinitamente più belle. Siete state fatte per seconde, quando ormai c’aveva preso mano e aveva dato il suo peggio, con noi.
No, scherzi a parte, a prescinder il fatto puramente estetico, è stata una scelta assolutamente non ponderata e venuta da sé, un po’ per il mio esser “porco in quanto maschio”, un po’ per l’amore che nutro per le donne come creature in generale, un po’ per la creazione che voi, in quanto tali, rappresentate.
D- E per quanto riguarda l’opera intitolata “Costato”?
R- Costato invece; è un discorso a parte, e probabilmente dovessi riassumerlo sinteticamente, lo definirei come uno degli attimi più belli in assoluto della mia vita. Più che un dipinto è il risultato d’uno sfogo, d’un attimo di gioco a 4 mani assieme al mio primogenito … è un dipinto che esula un po’ dai miei abituali soggetti. È stato interamente dipinto con le dita che correvan sulla tavola mescolandosi al colore giocando a toccarsi e allontanarsi, rincorrersi e prendersi, ridevam e sperimentavam un modo nuovo di conoscerci confrontarci e relazionarci col mondo e con la vita. E’ stata un’esperienza purtroppo unica, nonostante ci fossim sempre ripromessi di far ancora, non c’è più stato modo ripeter. È un dipinto non dipinto, nel senso, per me la sua importanza e il legame che nutro verso di esso, va ben oltre, il risultato puramente pittorico possa piacer oppure no. È un attimo straordinario della mia vita riversato su MDF.
D- Chi ha influenzato la tua pittura? Cosa ti ha spinto a dipingere?
R- Artisti che han realmente influenzato la mia arte pittorica, in realtà non ve ne sono. Il mio dipinger, come anche il mio scriver, è il frutto della ricerca di quel suono (il V.I.B.), è l’essenza primaria del senso del Movimento cui ho dato vita, solo per caso molti anni prima.
Per quel che riguarda i pittori, o illustratori che siano, che più mi piaccion; quelli principali direi son questi (te li metto lì così, non per ordine di importanza) : Caravaggio e Paul Guguin; sicuramente, prima di tutti, ma anche Salvatore Fiume, Renato Borsato, Guido Crepet in arte Crepax, Milo Manara. Ma ce ne sono tanti altri…
D- Hai mai avuto la sensazione di non essere capito attraverso la tua arte?
R- Ahahaha! Vedi Marilisa; questo è un problema quotidiano, con cui mi trovo a far i conti nella vita … ma almeno nell’arte, per fortuna, non mi è mai capitato. O almeno, non ancora. Chi può dirlo? Probabilmente la cosa è dovuta semplicemente al fatto che c’è poco da capir … Più chiaro e schietto di così, si muore! Questo, per lo scriver, almeno. Quanto alla pittura … in fondo, son solo nudi femminili (almeno i più), ed io son un uomo, con una forte innegabile attrazione, da sempre, per l’altro sesso. Che altro dire; c’è ben poco da costruirci sopra. Tutto qui. Non son né uno psicologo, né un intellettualoide, né un critico, voglion per forza trovarci qualcosa. La realtà, è tutta qui. O meglio … Li, sulle tavole dove dipingo.
D- Cosa desideri comunicare con i tuoi lavori?
R- Se per lavori intendi lavori pittorici; (come già detto) non esiste un vero e proprio messaggio che voglio trasmettere.
Vuol piuttosto esser, un omaggio a tutte quelle donne che son state a proprio modo importanti per me, ma anche un omaggio alla bellezza, alla forza e alla grazia di tutte le donne in generale.
D- C’è un filo conduttore che unisce il poeta, lo scrittore e il pittore o usi i diversi mezzi di espressione per lanciare diversi messaggi?
R- No dunque … indubbiamente un filo conduttore che unisce tutte queste mie sfaccettature c’è! C’è ed è la ricerca di un suono il V.I.B.P. (Visione Impossibile di Blues Poetico, come io lo battezzai al tempo) mediante l’atto creativo appunto, che sia esso pittorico, scultoreo, letterario o che.
Cosa è il V.I.B.? In altre parole; è essenzialmente la visione malata di una commistione di Rock/Blues Psichedelico con intrecci di danze celtiche e ritmi tribali. La ricerca tramite la creazione e la creatività di quel suono che forse esiste, forse no, ma nel nome del quale, la mia visione principe, mi ha portato dar vita a tutto ciò, e combatter per essa fidando ciecamente nel mio compito.
Quale visione? Quella di un lungo, infinito serpente piumato multicolore con le mani, si snodava lungo la terra diffondendo il proprio verbo. Quanto al messaggio che voglio esprimer con la mia arte … non c’è un vero e proprio messaggio…
Vivo il mio rapporto con essa, come dicevo, più come una sorta di auto psicanalisi e atto esorcistico nei confronti del mio passato amoroso, a seconda del tipo di forma d’arte cui parliam, che come l’esigenza di dover lanciar chissà quale messaggio per forza di cose, per il quale poi, non ho la pretesa esser il tipo di persona più adatta.
D- In molti eventi la lettura dei tuoi testi è stata accompagnata dalla musica. Quanto è importante per te la musica e quanto mischiarla alla tua arte?
R- Nascendo il nostro Movimento essenzialmente dall’incontro di diversi artisti, Andrea Carletti ed io in primis, ed essendo Andrea stesso un musicista, la musica non poteva non far parte integrante del nostro gruppo e di conseguenza dei nostri appuntamenti, che per loro stessa natura son il frutto la commistione e l’interconnessione delle varie arti. Poi, non dimentichiamo, alla base di tutto il nostro Movimento, c’è proprio la ricerca di un suono (inteso come un certo tipo di musica) … quindi a maggior ragione, la presenza della musica se non altro come accompagnamento, non poteva non affiancar le nostre letture, non solo le mie.
Per me personalmente poi; la musica è sempre stata se non molto importante, comunque parte integrante della mia vita. Non potrei mai concepir un’esistenza senza arte in genere, figuriamoci senza la musica o senza la poesia …
D- Rovinelli è un’artista che non ha mai avuto paura di “lavorare”. Sei stato: Agente di commercio, barman, cameriere, uomo delle pulizie, autista, tutto fare ai concerti…hai fatto diversi lavori solo ed esclusivamente per motivi economici?
R- Si, come dici, ho fatto numerosi lavori nella mia vita, e per carattere, senza mai “risparmiarmi”; è vero.
Indubbiamente però, almeno nella mia ottica di viver la vita, li ho sempre fatti fondamentalmente per vivere, o meglio, per sopravvivere. Almeno finché lavoro ancora si riusciva trovarne. La mia filosofia di vita, è sempre stata e seguita ad esser: “Lavorare per viver, non Viver per lavorare”, difatti.
Oggi purtroppo, son ormai disoccupato da anni, e mi dedico quindi quasi esclusivamente alla mia arte, eccezion fatta per i miei figli.
Per un po’ ho potuto andar avanti con l’eredità lasciatami da mio padre, quand’egli se n’è andato. Eredità sebben non particolarmente consistente, mi ha comunque consentito di sopravviver dando anche ciò di cui avevan bisogno ai miei figli.
Poi, il denaro notoriamente non cresce sugli alberi, inevitabilmente dopo qualche anno è finito ed è stata molto dura riuscir comunque ad andar avanti.
Ad oggi, continuo ancora a resister grazie al Reddito di Cittadinanza che percepisco non avendo oramai più nulla (più alcun bene) e mi auguro però, nell’attesa di riuscir a ripartir quanto prima, che questa situazione, ormai sempre più persone come me vivon nel nostro paese, possa finir quanto prima ridandoci nuova speranza nel futuro, anche se non son così ottimista che questo possa accader molto presto. Non per come, chi di dovere se la sta a mio parer giocando.
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D- Cosa vuol dire oggi essere artisti in Italia?
R- Sono convinto, un artista, debba prima di tutto esser disposto a mettersi a nudo e rivelarsi in toto senza esitazioni, poi scoprir davvero se stesso senza scopiazzar qua e là per pure esigenze di sopravvivenza. Il mercato, è a mio avviso, il principale killer della creatività.
Il vero artista, è chi crea a prescinder, e non per far quantità. Un artista per dirsi tale, può anche scriver un solo libro, incider un’unica canzone nella propria vita … Come per molti grandi bluesman del passato … Ciò che realmente conta, non è il quanto, ma il come lo si fa e quanto di sé si è disposti a metter in gioco.
Poi; e su questo mi preme insister, son tuttavia convinto vada valutato non solo in base ai suoi lavori più eccelsi, bensì, anche in base alle proprie “cagate” (e qui passami il termine) più eclatanti. Solo così, un artista, sarà allora davvero tale. Solo non avendo il timore di rivelarsi e mettersi a nudo in toto.
Cosa vuol dir essere artisti? In Italia oggi, poi? Innanzitutto vuol dir esser abbandonati a se stessi e guardati come tu fossi un appestato. In particolare, se sei fatto in un certo modo e fai un certo tipo di cose, un certo tipo di arte.
Poi; vige ancora purtroppo, la fissazione della famosa frase: “Aah è arrivato l’artista … te si fai la bella vita …” (come a dir che siccome sei artista non fai un cazzo dalla mattina alla sera).
Frase alla quale, per me, val sempre buona in risposta, (almeno per quel che mi riguarda) ancora e più che mai; la citazione di Heminguay (se non erro): “Spiegatelo voi a mia moglie che ogni volta guardo dalla finestra, sto creando”.
L’ignoranza purtroppo però, oggi come oggi, regna più che mai sovrana; o per autocitarmi:
“L’ IGNORANZA;
è un virus dilagante
si espande
sempre più in fretta
e già bene da se,
senza bisogno,
media d’ogni sorta
e politici sempre più stolti,
si mettan anche darle una mano.”
[Lorenzo Rovinelli]
Quanto al significato ed il senso dell’esser artista … Son dell’avviso ci sian fondamentalmente 2 tipi di artisti:
Quelli (quasi sempre) coi soldi e le spalle coperte, lo fan principalmente perché fa figo e son comunque parati e sostenuti dalla famiglia e dalle conoscenze, i quali spesso (fortunatamente non sempre) son anche spocchiosi e tendon a montarsi la testa per nulla.
Poi; ci son quelli come me, lo fan perché è ciò che sono e non posson farne a meno. Quelli come me, in cui nessuno crede o ripone fiducia e che nessuno aiuta. Quelli che lottano e arrancano, ma nonostante tutto non mollano.
D- Politica e arte vanno d’accordo? Cosa pensi della situazione attuale?
R- Premesso, almeno ideologicamente, nasco M.S.I. (e non l’ho mai nascosto né mi son mai vergognato per questo), preso atto del fatto quando Bossi proclamò la famosa frase: “Vi daremo i fucili!”, mi son candidato con la Lega (e tuttora voto Lega ormai da anni) Non per questo però, bada bene, razzista. Né tanto meno, covo odio o rancore verso chi non la pensa come me. Anzi … la maggior parte i miei amici più o meno cari, son quasi tutti di sinistra, quindi … premesso questo; dovessi riassumer me stesso politicamente e artisticamente in una frase, mi definirei piuttosto: “un Anarchico di destra che scrive cose tendenzialmente ritenute di sinistra”.
Detto ciò: Oddio … POLITICA e ARTE vanno d’accordo? Questa è una frase GROSSA (nel senso di impegnativa). Comunque; tagliam subito la testa al toro! Secondo la mia modesta opinione, DECISAMENTE No!
Il fatto essenziale è, a mio parer, che proprio per DNA le due cose (POLITICA e ARTE) son incompatibili e cozzano tra esse. La situazione attuale che viviamo, ne è la dimostrazione più che lampante, direi.
D- Progetti futuri?
R- Progetti futuri … ehehe; bella domanda.
Naaa, PROGETTI no, non li chiamerei così … In realtà, forse al momento, il mio solo vero progetto futuro è riuscir ad autoprodurmi e pubblicar in Self Publishing tutti i miei scritti, prima che sia tardi.
Scherzando con gli amici, spesso mi capita di ripeter, Bukowski, in fin dei conti, è diventato famoso a 70 anni … di tempo ne ho.
Poi però vedi; tra me e me rifletto … In famiglia, da parte dei Rovinelli almeno, e io son un Rovinelli, (in questo caso purtroppo) … abbiam questa brutta tendenza (noi uomini almeno, le donne no, loro si salvan …), abbiam il brutto vizio, schiattar a 60 anni, più o meno. Quindi, come poi ben comprender, non è che mi rimanga poi tanto, come al fortunato Hank.
Lì; sorge la mia preoccupazione, vista la mole di scritti che ho, e la scarsa disponibilità economica in cui navigo ormai da troppo, per poter esser serenamente impegnato nel farli uscir tutti senza troppi problemi, e abbastanza rapidamente.
SOGNI invece sì, di quelli ne ho e tanti. Ne ho sempre avuti. E questa probabilmente, è stata sempre la mia fortuna/sfortuna più grande. Essere un accanito fervente sognatore. D’altro canto se non lo fossi stato e avessi avuto un po’ di sale in zucca, non avrei mai sognato sin da bambino di fare lo scrittore. Avrei scelto qualcos’altro. Esiste forse però, qualcosa di più appagante, del creare? A me non risulta. E tu sei donna, probabilmente concorderai con me?
Comunque; alla luce di tutto questo, so di aver vissuto e posso a maggior ragione esser fiero di dire, son soddisfatto di ciò che sono e non ho alcun rimpianto in merito, né alcun pentimento, per la scelta che ho fatto. Quanti altri, posson veramente a questo mondo, dirlo?
Marilisa Pendino
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Grazie Marilisa; INFINITAMENTE GRAZIE, x l’articolol/ntervista … e x tutto quel che fai.