La missione teatrale di Guglielmo Meister di Johann Wolfgang von Goethe (titolo originale: ‘Wilhelm Meisters theatralische Sendung’), conosciuto anche con il titolo La vocazione teatrale di Wilhelm Meister, è una sorta di ‘estratto’ di un altro romanzo teatrale dello stesso autore, composto tra il 1777 e il 1785. Il testo, infatti, rappresenta la prima stesura dell’opera narrativa Gli anni di apprendistato, scritto tra il 1795 e il 1796.
La prima edizione italiana
Questa prima stesura, conosciuta anche con il nome di Urmeister, inizialmente venne brutalmente accantonata da Goethe. È grazie all’amica Barbara Schulthess (1745-1818) che oggi abbiamo la possibilità di leggere le sue pagine. Barbara, infatti, copiò di nascosto la versione abbandonata dall’amico riconoscendone tutto il potenziale. La copia venne poi ritrovata nel 1910 e pubblicata nel 1911. Ma non finisce qui. L’elaboratissima storia del romanzo continua con un ulteriore proseguimento (tra l’altro non concluso) dal titolo Gli anni di peregrinazione (1821-1829).
Per quanto riguarda la prima edizione italiana, questa risale al 1932, pubblicata da Mondadori con la traduzione e l’introduzione di Enea Silvio Benco (1874-1949) scrittore, giornalista e critico letterario, ma soprattutto grande amico di Italo Svevo e di James Joyce.
Benco coglie nel segno quando, presentando al lettore il libro che andrà a leggere, esordisce con la frase: “Romanzo anche il ritrovamento di questo romanzo di Goethe che si credeva perduto”. Come dargli torto?! Il libro, infatti, suscita grande curiosità ancor prima di dischiudere le sue pagine.
A parte altre versioni italiane, la Mondadori pubblicò il testo fino al 1994 e io oggi vi parlerò della mia preziosa edizione datata 1953.
Guglielmo Meister
Il protagonista di questo particolare romanzo è Guglielmo Meister, un giovane tedesco di buona famiglia, onesto, intelligente e anche un po’ ingenuo. Guglielmo, sedotto fin da bambino dall’affascinante arte teatrale, inizia presto a interrogarsi sulla strada giusta da percorrere per vedere realizzata la sua esistenza. Le scelte parrebbero due: vivere una vita tranquilla e monotona all’insegna dell’attività commerciale di famiglia (fortemente voluta dal padre) o una vita incerta e intensa all’insegna della sua grande passione, il teatro.
Se in un primo momento Guglielmo cede alle regole del figlio modello che asseconda i desideri del padre, non molto tempo dopo decide di abbandonare tutto e seguire la sua vera vocazione. Due sono i motivi che lo spingono a questa scelta difficile: la smaniosa natura d’artista che vuole consacrare tutta la vita al teatro per vedere rappresentati testi scritti dalla sua personale penna e l’amore disilluso per un’attrice, Marianna, il cui ricordo tormentato lo costringe ad allontanarsi da tutto ciò che lo riporta a vivere memorie al veleno.
Leggi anche: Antonin Artaud: il teatro, la parola, la follia
Il viaggio di Guglielmo
Forse per caso o per destino, al giovane protagonista si presenta l’occasione di un viaggio d’affari lontano e con la benedizione del padre e del socio Werner, il nostro abbandona tutto e tutti e si mette in cammino.
Da questo momento in poi quello che abbiamo davanti è un ‘diario di bordo’ per seguire passo dopo passo tutte le tappe del protagonista che sta per vivere l’avventura più grande della sua vita. Un’avventura fatta di passioni, intrighi amorosi, incontri con compagnie teatrali e con briganti.
Durante il tragitto, Guglielmo entra quasi subito in contatto con una compagnia ambulante e con il suo direttore Melina. La vita degli artisti di strada lo affascina e in poco tempo il giovane non riesce a fare a meno di loro, in particolar modo di alcuni dei suoi componenti, come Mignon, una bambina sensibile che riconosce in Meister la figura di un possibile padre e un vecchio arpista misterioso e malinconico. Il tutto condito dalle premure ammalianti della giovane Filina, donna addestrata nella difficile arte della seduzione.
La missione di Meister
Il giovane, quasi senza rendersene conto, diventa uno dei membri della compagnia, la quale viene invitata in un castello, per deliziare il principe e la corte con delle feste.
Meister, che fino a poco tempo prima di partire non era ancora stato sfiorato dalle carezze della vita, si trova così a passare da artista ambulante ad artista di corte. Ma a segnare per sempre la sua esistenza è l’incontro con Jarno, il quale lo inizia alla lettura di Shakespeare, illuminando per sempre la sua visione teatrale, tanto che riuscire ad allestire l’Amleto del drammaturgo britannico sembra essere la su vera ‘missione teatrale’.
L’esperienza di corte, però, finisce e la compagnia è costretta a lasciare il castello. Durante il viaggio, i membri vengono assaliti dai banditi e perdono ogni loro avere. Guglielmo viene ferito, ma fortunatamente è soccorso da alcuni cavalieri e da una donna, ‘l’Amazzone’, intrigante figura che Meister sarà costretto a rincontrare solo nella sua fantasia. Dopo l’assalto, la compagnia decide di sciogliersi e il giovane, insieme a Mignon e all’arpista, si unisce a un altro direttore di nome Serlo e intreccia un profondo legame con la sorella Aurelie, donna estremamente affascinante, ma divorata dal ricordo dell’abbandono dell’amato Lothario.
La vulnerabilità della natura umana
Una delle cose che salta all’occhio è la profonda delineazione psicologica che Goethe impone a tutti suoi personaggi, specie al protagonista. Abbiamo visto che Guglielmo è un giovane tranquillo, proveniente da una famiglia borghese, non conosce ancora bene il mondo ed è obbligato a seguire la carriera commerciale imposta dal padre. Ben presto, però, il tumulto artistico che cova dentro lo porta a eseguire, non senza pochi problemi, un drastico cambio di rotta.
Goethe indaga e descrive magistralmente il contrasto tra desiderio e rinuncia e tra ambizioni e perdite che divora il protagonista. Tutto ciò crea un libro incentrato sulla continua lotta tra dovere e piacere, tra esistenza imposta ed esistenza sognata, lotta che a pensarci bene almeno una volta nella vita (nei casi più felici) si abbatte su ognuno di noi. Sulla carta, quindi, si presenta la vulnerabilità della natura umana nel suo costante equilibrio tra debolezze e stabilità, tra incertezze e convincimenti.
Teatro: il rifugio contro la noia
Dopo una buona dose di psicologia narrativa, non si può non parlare dell’aspetto teatrale. A mio parere il vero motore di questa incredibile storia.
Secondo Benco il focus del romanzo è l’investigazione del teatro nella sua intima essenza quale una manifestazione complessa che involge profonde e misteriose attitudini naturali dell’uomo. E difatti anche per il protagonista il teatro non può non essere che l’unico sole attorno al quale ruota la sua vita tanto da considerarlo come un rifugio contro la noia e come un posto dove tutti gli uomini possono davvero considerarsi fratelli.
Come un fil rouge, la materia teatrale segna il percorso del protagonista nell’infaticabile ricerca del proprio ruolo, unendo esperienze, incontri e saperi.
E un ulteriore punto da prendere in grande considerazione è proprio il sapere teatrale che emerge da ogni singola pagina.
Leggi anche: Entriamo ne ‘La stanza dei gatti’ di Franca Valeri
Sapere teatrale
Il libro, infatti, ricorre a molte citazioni teatrali: Davide e Golia (il testo che lo spinge a desiderare il teatro), la Poetica di Aristotele, il teatro di Gottsched, quello di Shakespeare e tanti altri ancora.
Si citano anche concezioni ed espressioni tipiche della tecnica teatrale. Si pensi al famoso ‘quinto atto’ di solito quello dove il livello di azione e pathos diventa molto alto, conferendo un grande piacere al nostro Guglielmo.
Si fanno anche delle disquisizioni sulle regole e sulle dottrine del teatro. Guglielmo libera la sua attività teatrale dalle costruzioni aristoteliche di unità (azione, tempo ecc.) per trovare una via più naturale e più giusta nella sua ricerca teatrale. Il principale obiettivo di Meister, infatti, è quello di ripulire e purificare il teatro per trasformarlo in efficace strumento nelle mani dell’uomo.
Si fa molto riferimento al contesto storico, la tipologia di teatro che qui si affronta è quella della Commedia dell’Arte e, infatti, in più di un’occasione si espongono i reali problemi che i comici (intesi come tutti gli attori) dovevano affrontare: spostamenti, prestiti da parte dei bancari ebrei, riluttanza da parte degli altri, sfruttamento da parte degli impresari o la censura del clero.
Un libro sul teatro e non solo
Ma tranquilli. Non è il solito libro noioso pieno di tecnicismi o di teorie incomprensibili. No, La missione teatrale di Guglielmo Meister è la giusta miscela tra romanzo, storia e teatro. La vita umana con tutte le sue sfaccettature è la vera protagonista, mentre sullo sfondo a impreziosire ogni singola scena senza risultare mai eccessiva è l’esperienza teatrale in ogni sua forma (ambulante, di corte, amatoriale, professionista, teorica etc.).
Inoltre in più di un’occasione, le pagine lasciano il posto a momenti di ironia e cinica verità: “Al popolo si devono rappresentare soltanto tratti nettamente evidenti, forti, risentiti, ben distinti, e che tutto quanto è più sottile, più intimo, più approfondito produce minore impressione di quanto si pensi, specialmente quando si miri a un effetto su la moltitudine, la quale poi in fondo è quella che paga”.
Marilisa Pendino