Nel 1895 Luigi Pirandello scrive Il Turno, lavoro sintetico e singolare. La sua particolarità si rintraccia sia nella forma – lo stesso autore lo definisce romanzo breve o racconto lungo –, sia nel contenuto, esposto in pieno stile pirandelliano.
Pubblicata nel 1902, l’opera non sarà mai indicata come la più nota della penna agrigentina, ma non per questo è meno degna di attenzioni. Il Turno, infatti, propone al suo lettore un assunto molto conosciuto e sempre vivo: la vendita, a basso costo, della propria e dell’altrui felicità. Ma andiamo con ordine…
Il Turno: trama
Sicilia. Don Marcantonio Ravì ha organizzato un vantaggioso matrimonio tra la giovane (e unica) figlia Stellina e Don Diego Alcozèr, vecchio, ricco e con il vizio di sopravvivere alle mogli; sul suo facoltoso groppone si contano già quattro vedovanze.
In paese tutti conoscono, e tutti biasimano, il progetto di Marcatonio. Questi, però, è ben lanciato nel suo proponimento, convinto di operare solo ed esclusivamente per il bene della figlia. E poco importa se Stellina si ostina a rifiutare uno sposalizio combinato, solo il padre sa quello che è giusto per il suo futuro. E un ‘futuro giusto’ è possibile – secondo il lungimirante Ravì – con la morte naturale del vecchio, la meritata ricchezza della ragazza e il sacrosanto diritto di rifarsi una vita con chi desidera.
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Il Turno che non arriva mai
Così, paesani e familiari si rassegnano ad accogliere una nuova coppia di sposini. Ma cuore e fato seguono leggi proprie e la bellezza di Stellina cattura, consapevolmente, l’attenzione di un giovane spasimante, Pepè Alletto. L’Alletto acciuffa anche la simpatia di Marcantonio, diventando potenziale genero pronto a sostituire quello attuale.
Il tempo passa e Alcozér di morire non ne vuole sapere. La giovane donna comincia a patire le costrizioni di una quotidianità innaturale, mentre Pepè attende sempre più smanioso il suo momento.
Tutto cambia con l’entrata in scena del cognato di Alletto, l’avvocato idealista Ciro Coppa – marito della sorella defunta –, l’uomo, infatti, s’interessa al caso e decide di ricorrere alla legge per salvare una ragazza costretta a ingiuste nozze. Contento, Alletto vede finalmente uno spiraglio di luce, ma rimarrà deluso. Dopo il divorzio, Stellina sposa ‘l’avvocato liberatore’ con grande disappunto del Ravì e totale disperazione di Pepè, quest’ultimo costretto ad aspettare ancora una volta il suo turno.
Osservatore dei vizi umani
Pirandello è un osservatore abituale dei vizi umani e qui ne espone uno davvero pericoloso: l’attaccamento al denaro. Il Ravì, come molti altri padri affezionatissimi prima di lui, obbliga la figlia ad una scomoda strada verso una opinabile realizzazione. Perché se non sono i soldi a fare la felicità, sicuramente sono lo strumento che aiuta a consolarsi.
E allora ecco che Stellina, in quanto figlia e in quanto donna, deve rispondere alla chiamata patriarcale del sacrificio in nome di una futura (e collettiva) ricchezza familiare.
Vizi raccontati
Ma quanto costa la felicità? Molto! Costa sottomissione a Stellina, insoddisfacente attesa a Pepè e delusione al Ravì, nel suo essere padre di una figlia divorziata. I personaggi vengono solo sfiorati da una gioia apparente, ma mai investiti veramente dalla sua essenza.
Pirandello non si limita soltanto ad osservare abilmente i vizi, altrettanto abilmente li sa anche raccontare. Ne Il Turno non è solo l’avidità che viene narrata, ma anche l’illusione dell’uomo che si ostina a progettare un’esistenza che si diverte a sbrogliare le carte, a cambiare le regole. I progetti degli uomini sono solo insignificanti impacci di fronte all’agire definitivo del destino.
Così, una morte desiderata non si decide a giungere, l’estenuante attendere non accenna a terminare e una fortuna agognata sfuma nel nulla.
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Il Turno: punti e spunti di un passato mai passato
E che dire di altri difetti di natura umana – che in molte occasioni l’autore suggerisce in altri suoi lavori – come la gelosia, il possesso, la negazione della libertà e la pretesa di governare la vita con la razionalità?
Costruendo attentamente la natura psicologica dei personaggi, lo scrittore realizza un mosaico dell’umano (o forse sarebbe meglio dire dell’inumano) che ribadisce tutto il suo credo letterario, concentrandolo in un’opera avvincente anche se concisa. Ma non solo, rileggendolo oggi, riaffiorano punti e spunti di un passato che sempre prova a far capolino.
E liberandolo dalla polvere del tempo, il mosaico torna al suo splendore originale anzi fa molto di più: i tasselli diventano riflettenti, una sorta di specchio sul quale rimbalza l’immagine nitida di quello che ci ostiniamo a chiamare presente, tempi migliori. Ma è davvero così?
Il nostro turno
No, non necessariamente. E Pirandello, spietato novellatore di fatti e vicende umane, lo sa bene e sempre si ostina a ricordarcelo attraverso storie e personaggi.
Sfogliando Il Turno si ha come l’impressione di essere sospesi in un tempo solido che non vuole scorrere; un tempo in cui i vizi umani tornano più forti che mai. Non bisogna rimanere sorpresi (ahimè!) quando tristi orme di questi umani difetti si rintracciano nel nostro presente: la cronaca continua a innaffiarci con il veleno delle cattive notizie (provate ad approfondire l’agghiacciante storia di Saman, ribellatasi a un matrimonio combinato), sostanza molto pericolosa e inesauribile.
E il caustico messaggio della penna agrigentina arriva puntuale: siamo tutti in cerca di una qualche forma di felicità; siamo tutti dei Pepè Alletto, costretti – dal fato, dagli altri, dai noi stessi – all’eterna attesa del nostro turno.
Marilisa Pendino
Il Turno
Autore: Luigi Pirandello
Casa editrice [edizione letta]: Mondadori, collana I Meridiani Collezione
Anno: 2005
pp. 106