I libri trovano sempre la strada per raggiungere i lettori. Sì, è un pensiero molto orientaleggiante che a noi freddi occidentali può lasciare perplessi. Ciononostante, leggendo sempre più testi mi convinco che i libri (ma in realtà gli oggetti in generale) sono dotati di una vera e propria anima che cresce sempre più entrando in contatto con diversi proprietari.
Tutto questo per dirvi che lo scorso mese mi è arrivato in casa un bellissimo testo. Trattasi di Oppio e altre storie, scritto da Géza Csàth ed edito, nella sua versione italiana, per i tipi di e/o.
Ora, vi dico già che si tratta di un libro meravigliosamente folle e che mi è letteralmente piombato tra le mani in un momento molto particolare della mia vita. Tranquilli, non sono una oppiomane… e in ogni caso fatevi gli affaracci vostri!
Ma torniamo seri e occupiamoci dell’opera e del suo autore.
La vita al sapore di oppio e morfina
Géza Csáth (nome vero József Brenner) nasce a Subotica il 13 febbraio del 1887 e muore suicida a Kelebia l’11 settembre del 1919.
Già in tenera età mostra una forte propensione per l’arte: dipinge, suona il violino e scrive molto. Risale al 1901 la sua prima recensione musicale pubblicata sul quotidiano locale Bácskai Hírlap.
Tuttavia, all’università sceglie la strada della medicina per ottenere tutti gli strumenti razionali utili a combattere le suggestionabilità che il mondo della letteratura comporta. Specializzatosi in neurologia, lavora a Budapest presso l’ospedale psichiatrico dello specialista ungherese Moravcsik. In questo periodo frequenta caffè letterari, redazioni giornalistiche e ospedali. Non toglie mai tempo alla scrittura e produce diverse novelle e saggi scientifici. Successivamente decide di racimolare qualche soldo visitando i pazienti delle stazioni termali situate nell’Alta Ungheria ed è qui che conosce Olga Jonás, sua futura moglie.
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Csáth sperimenta numerose droghe e si affeziona presto alla morfina e all’oppio che lo portano a cadere nella paranoia. Si trova spesso a scrivere e a svolgere l’attività di medico sotto i devastanti effetti della dipendenza. Nel 1918 diventa padre per la prima volta di una bambina, ma non avrà il tempo di fare il genitore. L’anno successivo, infatti, viste le precarie condizioni mentali, viene rinchiuso in un sanatorio; da qui evade, fa ritorno a casa e in un raptus di follia uccide la moglie con tre colpi di rivoltella, poi tenta il suicidio. Viene salvato e portato nell’ospedale di Subotica, ma riesce nuovamente a fuggire e si dirige a piedi verso Budapest per farsi ricoverare nella clinica di Moravcsik. Fermato dalle guardie sulla linea di demarcazione serbo-ungherese, si toglie la vita ingerendo una dose letale di pantopon.
Il clamore provocato dall’esistenza inquieta e dal suicidio, costringono l’autore a scivolare lentamente nell’oblio. Da qualche anno, però, se da noi in Italia continua a essere poco noto, in Ungheria il suo lavoro viene riesumato, diventando fonte di ispirazione per molti autori ungheresi.
Oppio e altre storie: la raccolta
Oppio e altre storie è una raccolta di 19 racconti scritti tra il 1905 e il 1912. L’opera è un’interessante effetto della ‘versione triade’ di Csáth: psichiatra, sensibile autore osservatore del mondo e oppiomane. In ogni singolo racconto, infatti, si esplora l’essere umano con le sue paure, i suoi sogni e i suoi incubi.
Il dolore, insieme alla ricerca delle sue origini e ai metodi per dissiparlo, è il filo rosso che accompagna tutti i protagonisti di queste storie a metà tra vecchi racconti folkloristici (come La rana [1905] – il protagonista è l’animale che annuncia la morte di qualcuno) e frammenti di personali diari (Oppio [1909] – dove si narra la devastante esperienza della droga). E questo dolore lo si rintraccia il più delle volte nei tranquilli interni borghesi, spesso ambientati nella città natale dell’autore, e a sperimentarlo sono i bambini.
Qui l’innocenza infantile è spesso macchiata dalla crudeltà adulta. I piccoli personaggi torturano e sventrano gufi e gatti, uccidono la madre dopo aver scoperto un acerbo amore fisico (Matricidio, 1908) o impiccano per errore la compagna di giochi (La piccola Emma, 1912).
I bambini di Csáth non sono deviati carnefici, ma vittime della brutalità subita dal complicato e freddo mondo degli adulti che non ascoltano mai e che spiegano male la vita. A loro, dunque, non rimane altro che assimilare la violenza come uno dei tanti processi naturali della vita, diventando inconsapevolmente piccoli mostri creati da altri mostri.
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Crescendo, il peso della crudeltà sofferta ed esercitata li fa diventare adulti fragili e timidi, del tutto inadatti al mondo (Etzi la rossa, 1908).
E nel mondo dei grandi le cose peggiorano. Gli adulti si guardano l’un l’altro morire per capriccio, per indifferenza (Il pozzo [1911] – racconta il destino di un uomo lasciato morire pian piano all’interno di un pozzo).
Ma tra le folle pagine di Csáth c’è spazio anche per il complesso rapporto familiare. La famiglia è all’origine di tutto; una microsocietà che obbliga all’affermazione, o a veder fallire l’affermazione, di una qualche forma di identità (Ho incontrato mia madre, 1906 e Padre e figlio, 1908). C’è, infine, anche spazio per la materia eterna: l’amore; sentimento che qui muta in chimera da inseguire e fuggire al tempo stesso, incessante fonte di piacere e dolore (Paolo e Virginia, 1907 e Sogno pomeridiano, 1908).
Sfogliare questa raccolta può non essere cosa semplice. Si consiglia di affacciarsi nel mondo psichedelico di Géza Csáth solo in possesso di un animo non turbato. Tutto, dalla descrizione minuziosa di vicende grottesche al richiamo di una sempiterna sofferenza umana, può agitare lo spirito o scompigliare la percezione della penna di un autore che la vita, quella vera, l’ha vista e vissuta in un soffio.
Cose in più
A rendere godibile il testo, nella sua edizione italiana pubblicata da e/o, sono i disegni del pittore Attila Sassy tratti dal suo volume “Sogni dell’oppio” del 1909.
Leggere Oppio e altre storie senza conoscere vita e lavoro dell’autore non può che essere vano. Fortunatamente l’intervento di Marinella D’Alessandro offre la possibilità al lettore italiano di avvicinarsi, seppur in punta di piedi, alla singolare figura.
Dai racconti di Csáth nascono due film: Opium: Diary of a Madwoman (2007) e I fratelli Witman (1997) diretti da János Szász.
Marilisa Pendino
Oppio e altre storie
Casa editrice [edizione italiana]: Edizioni e/o
Anno: 1985
pp: 154